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EPISTOLARUM QUAE SUPERSUNT



ma asprissima tua lettera tu non avere aspettata sí lunga risposta: ma però che quella non sento dal tuo puro ingegno dittata (perché io conosco le parole, conosco le malizie e l’indegnazione conceputa dall’altrui retá, con la tua penna scritte), ogni concetto della mente mi parve da mandare fuori; il che fare non si poteva in poche lettere. Scrissi adunque, usando la libertá mia, seperato dall’altrui potenzia; però che fanciullesca cosa è toccare il barile delle pecchie e non aspettare nel viso le punture di tutto lo sciame. Certo per un piccolo toccare d’uno ardente bronco innumerabili faville si levano. Guardisi: e tu ti guarda che tu non mi commuova in invettive, ché tu vedrai che io vaglio in quella arte piú che tu non pensi. Tu mi lavasti con l’acque fredde: io rasi te non, come io doveva, col coltello dentato; ma quello che non è fatto si fará poi, se non istarai cheto. Dio ti guardi.


  In Vinegia adí 28 di giugno.]