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XII. - A FRANCESCO NELLI



che quelli i quali meritamente si possono chiamare nobili obbediscono a’ vili i quali per la constituzione del cielo di nobili sono nati, come veggiamo che i nobili spesse volte nascono de’ villani. Perché adunque cerca costui l’altrui schiatta, spessissimamente, come io penso, vituperata da vilissimi discendenti? Non gli basta, di qualunque e’ sia nato, con grandigia avere avanzati i suoi maggiori ed avere dato alcuno principio di chiarezza, dove molti hanno posto fine allo splendore de’ loro passati? Gran cosa è, e la quale è avvenuta a molti. Vorrei nondimeno, poi che egli doveva andare in questa stoltizia, che un’altra schiatta avesse posta innanzi al desiderio suo. Erano i Sergi, nati da Sergio compagno d’Enea; erano i Memi, nati da Menisteo; erano i Iuli, che menano l’origine da esso Enea; i Quinzi, i Fabi, i Corneli, i Claudi ed altri, degli splendidi fatti de’ quali sono piene le croniche de’ romani: con ciò sia cosa che degl’iddii di Frigia non mi ricorda avere letto alcuna cosa. Se forse non vuole per gran cosa dire che Gregorio sommo pontefice, cosí per scienzia come per degnitá e per santitá chiaro, di questa schiatta si dica essere stato; assai è. E nondimeno, se a questa cosí grande affezione è tirato, perché non chiamò egli il padre, Giove? perché non il sole? E sará piú nobile che non sono gl’iddii di Frigia. Cosí fece giá Saturno, il quale con ciò sia cosa che il padre e la madre fussono chiamati per altri nomi, l’uno volle che fusse chiamato Cielo e l’altro Terra, acciò che per cosí splendidi nomi facesse la sua origine chiara. Mancògli, come io credo, non il desiderio né l’ardire, ma chi con versi fermasse la finzione. Misero ed abbandonato ed uccellato dagl’inganni del suo Coridon, dal quale poi che è fatto nobile degli altrui soprannomi, in prima perdé il nome proprio, al quale con ciò fusse cosa che alcuna loda si dovesse, è attribuita a’ soprannomi, rimanendo lui vóto. Amiclate, povero pescatore, trovò chi il suo nome facesse etterno; cosí Codro; cosí Aglao, possessore del povero campicello. Costui, che con tanta fatica desiderava, trovò chi il suo sotto l’ombra degli altri involgesse in perpetue tenebre, quando si pensava in amplissima luce essere levato. Cosí fa la fortuna, cosí inganna gli animi degli uomini quando si pente d’alcuno avere levato in alto. Cosi m’aiuti Dio, come egli è d’avere compassione a questo tuo! Ma lasciando questo, è da venire piú oltre. Tu mi scrivi che io non doveva cosí di subito il partire da Mecenate tuo, anzi la fuga arrappare. Maravigliomi, in buona fé, che tu scriva cosí, perché conosci te contra la conscienzia tua avere scritto. Credo