Oratio |
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in Orationem quae De nostri temporis Studiorum Ratione inscribitur, ex Ephemeride vulgo Giornale de’ Letterati d'Italia depromptae.Ephemerides vulgo Giornale de’ Letterati d’Italia quae saeculo proxime elapso Venetiis excudebantor, cum synopsim Orationis De nostri temporis Studiorum Ratione exhiberent, hujusmodi judicium proferebant:
«Il sig. Vico, a dir vero, discorre in tutto con tanto di dottrina e di giudizio, che ben mostra di avere meritato il titolo che lo qualifica nella repubblica delle lettere[1], dando motivo a noi di desiderare che si fosse esteso un poco più su qualche materia, né l’avesse solamente, per così dire, accennata.» (Tom. I, p. 321, anno 1710)
Posterius Ephemerides (Tom. II, pag. 496-498) editionem operis De Antiquissima Italorum Sapientia ex originibus Linguae Latinae eruenda proxime prodituram docentes, hanc orationem rursus memorabant, monebantque:
« 1. Che quasi tutta la Dissertazione è concepita, senza farne rumore, per dimostrare i danni che fa il metodo geometrico trasportato dalle matematiche, le quali ne sono unicamente capaci, nelle altre scienze (Pars. I. de Instrum. Scient.).
« 2. Che i sistemi nuociono sommamente alle cose mediche, e particolarmente per essersi lasciato, dacchè questi vi si introdussero, di batter la strada tanto profittevole di arricchirla nella parte più certa, che è quella degli aforismi e dei giudizj (Pagina 16, 17).
« 3. Che oggi il fine di tutti gli studj è solamente la verità, senza tener conto dell'utilità e della dignità: la qual cosa arreca gravissimi danni alla prudenza civile, che in verun conto non soffre che delle cose agibili l’uomo pensi con metodo geometrico, per le ragioni che si adducono, là dove se ne ragiona (Pag. 17-22).
« 4. Che i Trevolziani, quantunque l’autore qui non li nomini, prendono un abbaglio grandissimo intorno alla Maniera di ben pensare, credendo essi che sia il medesimo Sottigliezza ed Acutezza d’ingeguo; e che i Francesi hanno sopra tutte la nazioni del mondo il pregio di sottili e di delicati, ma non già di acuti e d’ingegnosi (Pag. 13 et 20, 21).
« 5. Che mutata la forma nella repubblica romana di libera in principato, o per meglio dire in monarchica, gl’Imperatori per torre di mano ai Nobili la forza delle leggi, offersero loro un simulacro di potenza, con fare più venerando l’ordine de’ giurisconsulti; ma nello stesso tempo essi co’ Rescritti, il Senato co’ Senatusconsulti, e sopra tutto i Pretori cogli Editti si diedero a trattar le leggi con equità naturale: con che si obbligarono maggiormente la plebe, che solo di questa, e non dell’equità civile, è capace, e andarono tratto tratto rendendo inutili le formole, le quali erano il segreto della potenza de’ Nobili (Pagina 29-33).
« 6. Che per vietare i danni della Giurisprudenza, come oggi si tratta, e per conseguire gli utili con che la trattarono i Romani nella repubblica libera, sarebbe d'uopo interpretar le leggi secondo le ragioni di Stato; e si dà un saggio di un sì fatto sistema (Pag. 33-37). »
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- ↑ Vicus Eloquentiam publice docebat in R. Neapolitana Studiorum Universitate.